Articoli

Libri che parlano di memoria, oblio e identità

La memoria non è solo un processo cognitivo: è la materia prima della nostra identità. È ciò che ci permette di essere chi siamo, di raccontarci, di costruire relazioni e significati. Quando leggiamo, ci confrontiamo spesso con storie in cui i ricordi diventano protagonisti: si trasformano in labirinti, in ferite, in rinascite. La letteratura è da sempre uno specchio fedele — e a volte deformante — della memoria umana. In questo articolo esploreremo alcuni romanzi in cui il tema della memoria, dell’oblio e della costruzione dell’identità emerge con forza narrativa e profondità emotiva.

La memoria come inganno: “L’amante” di Marguerite Duras

Marguerite Duras è maestra nell’arte del ricordo ambiguo. Nel suo capolavoro L’amante (1984), la scrittrice francese narra, in forma di autobiografia romanzata, un amore giovanile vissuto nella colonia francese dell’Indocina. La voce narrante è quella di una donna matura, che ripercorre frammenti della sua adolescenza con una distanza quasi dolorosa. Ma quanto di ciò che racconta è reale? Quanto è ricostruito, reinterpretato, idealizzato?

Duras gioca volutamente con l’imprecisione della memoria, con il tempo che deforma e scolora. Il lettore è trascinato in un flusso emotivo dove il confine tra vero e falso è volutamente sfumato. In questo senso, L’amante è un libro che interroga non solo la memoria personale, ma anche il suo potere evocativo e narrativo.

Oblio e identità: “La strada” di Cormac McCarthy

In La strada (2006), Cormac McCarthy dipinge un mondo post-apocalittico dove memoria e identità si intrecciano in modo struggente. Un padre e un figlio attraversano un paesaggio devastato, cercando cibo, calore e sicurezza. Ma soprattutto, cercano di conservare ciò che resta dell’umanità. Il padre ha memoria del mondo com’era prima: ricorda il sapore della pioggia, il profumo degli alberi, il sorriso della moglie. Il figlio, invece, è cresciuto nel deserto dell’oblio, e la sua identità si forma nel vuoto lasciato da ciò che è stato perduto.

McCarthy usa la memoria non solo come nostalgia, ma come ultimo baluardo contro la disumanizzazione. La trasmissione dei ricordi da padre a figlio è un atto di resistenza, un modo per mantenere viva la speranza in un mondo che sembra aver dimenticato ogni cosa.

L’identità frammentata: “L’uomo duplicato” di José Saramago

José Saramago, Premio Nobel per la Letteratura, affronta il tema dell’identità attraverso il paradosso e la metafora. In L’uomo duplicato (2002), un uomo scopre casualmente che esiste un suo sosia perfetto, identico in ogni dettaglio fisico. Questo evento apparentemente assurdo scatena una profonda crisi di identità. Chi è lui, davvero? È unico o solo una copia?

La memoria diventa qui uno strumento instabile, incapace di garantire coerenza al sé. La confusione tra realtà e illusione, tra ricordo e invenzione, crea un’atmosfera kafkiana dove il lettore è costretto a interrogarsi su cosa significhi essere “sé stessi”.

Saramago utilizza uno stile narrativo ipnotico e quasi ossessivo, con frasi lunghe, dialoghi fusi nel testo e una punteggiatura irregolare, per rendere l’instabilità psicologica del protagonista. La memoria, in questo romanzo, non salva: disorienta.

Il trauma come memoria spezzata: “Nel paese delle ultime cose” di Paul Auster

In Nel paese delle ultime cose (1987), Paul Auster immagina una città in disfacimento, dove ogni oggetto e ogni memoria viene eroso dall’oblio. La protagonista, Anna Blume, vaga alla ricerca del fratello scomparso, scrivendo una lunga lettera che è in realtà un tentativo disperato di conservare i ricordi.

La memoria, nel romanzo, è minacciata non solo dalla distruzione fisica, ma anche da una progressiva perdita di senso. L’identità stessa è messa in discussione: cosa resta di noi, se non possiamo ricordare chi eravamo? Auster affronta la memoria come resistenza alla disintegrazione: scrivere è ricordare, e ricordare è sopravvivere.

L’oblio come rifugio: “La casa del sonno” di Jonathan Coe

Jonathan Coe, con La casa del sonno (1997), costruisce un intricato romanzo dove sogno, memoria e identità si fondono in modo sorprendente. Ambientato in un’ex clinica per disturbi del sonno, il libro segue le storie di vari personaggi ossessionati dal passato, dai ricordi e dalla ricerca di un sé autentico.

Attraverso salti temporali e cambi di prospettiva, Coe mostra quanto sia difficile distinguere tra ciò che è accaduto davvero e ciò che è stato solo immaginato. L’oblio, in alcuni casi, appare come un sollievo: una via di fuga dal dolore e dal rimpianto. Ma dimenticare significa anche perdere una parte di sé.

Ricordi falsi e realtà alternative: “Ubik” di Philip K. Dick

Nel panorama della fantascienza, Philip K. Dick è uno degli autori che più hanno esplorato il tema della memoria come costrutto artificiale. In Ubik (1969), i personaggi vivono in una realtà in continua mutazione, dove il tempo si degrada, e i morti comunicano attraverso strani messaggi. La linea tra realtà e illusione è labile, e i ricordi non sono più affidabili.

Dick ci mette in guardia: la memoria può essere manipolata, distorta, perfino impiantata. L’identità, allora, non è che una somma di illusioni condivise. Ma è proprio in questa fragilità che l’autore trova la sua verità più profonda: ciò che siamo è ciò che ricordiamo di essere, anche se i ricordi sono falsi.

La memoria collettiva: “Cent’anni di solitudine” di Gabriel García Márquez

In Cent’anni di solitudine (1967), Gabriel García Márquez racconta la saga della famiglia Buendía nel villaggio immaginario di Macondo. Il tempo non è lineare, ma circolare; gli eventi si ripetono, i nomi si confondono, la storia si trasforma in leggenda.

La memoria collettiva del villaggio diventa un personaggio a sé, con le sue omissioni, mitizzazioni e censure. Quando una misteriosa peste dell’oblio colpisce Macondo, gli abitanti devono etichettare ogni oggetto per ricordarne il nome e la funzione. È una potente metafora dell’instabilità della cultura, della storia e dell’identità collettiva.

García Márquez unisce il realismo magico alla riflessione storica: ricordare è un atto politico, oltre che esistenziale.

Memoria come condanna: “Se questo è un uomo” di Primo Levi

Non si può parlare di memoria in letteratura senza menzionare Se questo è un uomo (1947), di Primo Levi. In questo capolavoro della testimonianza, l’autore racconta la sua esperienza nel campo di concentramento di Auschwitz. La memoria, qui, è necessaria ma dolorosa: ricordare è una forma di giustizia, ma anche di tortura interiore.

Levi scrive con precisione scientifica, quasi chirurgica, per evitare l’emotività e restare fedele ai fatti. La memoria è sacra, e va trattata con rigore. Ma è anche fragile, soggetta al tempo, al trauma, all’incomprensione. Levi ci mette di fronte alla responsabilità della memoria storica, personale e collettiva: perché l’oblio è complice del male.

I ricordi perduti dell’amore: “Espiazione” di Ian McEwan

In Espiazione (2001), Ian McEwan affronta il tema della memoria come colpa e redenzione. La protagonista, Briony, da bambina commette un errore che segnerà per sempre la vita delle persone che ama. Anni dopo, adulta e scrittrice affermata, cerca di espiare quel peccato attraverso la scrittura, riscrivendo la storia con un finale alternativo.

Ma il lettore scoprirà che ciò che legge non è la verità, ma una versione modificata, forse consolatoria. La memoria, allora, si rivela un atto creativo, forse ingannevole, ma anche terapeutico. L’identità di Briony si costruisce sulla possibilità — o sull’illusione — del perdono.

Memorie perdute e ritrovate: “La lunga attesa dell’angelo” di Melania G. Mazzucco

Melania G. Mazzucco, con La lunga attesa dell’angelo (2008), dà voce al pittore Tintoretto negli ultimi giorni della sua vita. Il romanzo è un monologo interiore che ripercorre memorie, successi, lutti e rimorsi. L’artista cerca di rimettere ordine nel caos della propria esistenza, di dare un senso alla propria arte e ai propri affetti.

La memoria è qui un bilancio finale, ma anche un’opera incompiuta: selettiva, imperfetta, soggettiva. Mazzucco costruisce una narrazione densa e visiva, in cui l’identità dell’uomo e dell’artista si intrecciano fino a confondersi.

Conclusione:

La letteratura, da sempre, è un archivio vivente della memoria umana. Attraverso i romanzi, possiamo esplorare le infinite sfumature del ricordo: dal trauma alla nostalgia, dalla falsificazione alla costruzione identitaria. Leggere questi libri significa entrare in mondi dove la memoria è fragile ma fondamentale, mutevole ma necessaria.

In un’epoca in cui la rapidità delle informazioni rischia di cancellare la profondità del pensiero, riscoprire il valore della memoria — attraverso la lettura — è un atto di resistenza culturale. È un modo per ritrovare sé stessi, per dare voce a chi è stato dimenticato, per capire chi siamo davvero.

Non è solo un invito alla lettura, ma un’esortazione a coltivare la nostra umanità. Perché ricordare è vivere due volte, e leggere, forse, ancora di più.

© 2025 Roberto Cotroneo | Tema WordPress: Cosimo di CrestaProject.